FOTOGRAFIA DIGITALE

Telecamere, macchine fotografiche, ma anche tablet, smartphone, orologi, occhiali, tra un po' anche ferri da stiro... ovunque è possibile viene inserita la tanto irresistibile quanto social fotocamera digitale, facendo a gara tra una marca e l'altra, tra un modello e l'altro, a chi ne ha di più... di pixel. Ma è veramente utile avere milioni di pixel in uno spazio sempre più ristretto? E' il loro numero a fare la differenza? O sebbene aggiungere "megapixel" all'inserzione pubblicitaria dona un certo appeal, è invece controproducente?

IL SENSORE ED I PIXEL

Nelle fotocamere digitali il posto della pellicola è preso dal sensore, costituito da singole cellule chiamate pixel (da "picture elements", elementi dell'immagine). I pixel generano una corrente elettrica d'intensità variabile a seconda della quantità di luce che li colpisce. Per poter valutare, oltre alla quantità, anche la qualità della luce (e cioè i colori), ogni pixel è dotato di un filtro colorato in modo da essere sensibile al rosso, al verde oppure al blu. Lo schema più diffuso per disporre i colori è detto maschera di Bayer, e prevede due fotodiodi con filtro verde per ogni fotodiodo rosso e blu: ciò rispecchia la naturale sensibilità dell'occhio umano al verde.


Un'alternativa originale è quella adottata dal sensore chiamato Foveon X3, in cui ogni pixel è in grado di registrare tutti i colori fondamentali grazie a uno strato di silicio opportunamente lavorato per lasciar passare solo determinate lunghezze d'onda. Il sensore Foveon ha un'eccellente resa dei colori e non è soggetto a effetti di iridescenza. La giapponese Sigma ha un accordo di esclusiva per utilizzare questo sensore, che perciò è presente solo sulle fotocamere di questa marca.

MEGAPIXEL E DIMENSIONI DEL SENSORE

Immaginiamo di scattare la stessa foto con una reflex digitale e con una fotocamera compatta, tutte e due dotate di un sensore da 20 megapixel. Entrambe le macchine sono in grado di registrare la stessa quantità di dettagli (numero di pixel), ma la ripresa con la reflex avrà quasi certamente una migliore qualità complessiva e minori disturbi, specialmente alle alte sensibilità ISO. Il motivo è semplice: i due sensori, seppure con la stessa risoluzione, hanno dimensioni diverse.

I sensori delle fotocamere compatte sono solitamente molto piccoli, dunque anche i loro pixel devono essere miniaturizzati. Inoltre, in ogni sensore è necessario separare i pixel perché la carica elettrica di uno non si propaghi a quelli vicini ed esiste una distanza minima tra i pixel. Il tutto fa si che più sono piccoli più luce si perderà tra di essi. Diventa perciò necessario sopperire con un'amplificazione elettronica, che però causa interferenze nelle immagini, specialmente quando l'illuminazione è scarsa o non uniforme.

Un altro vantaggio di avere pixel più grandi (quindi maggior superficie del sensore) è la maggiore gamma dinamica, cioè l'ampiezza dell'intervallo tra ciò che al sensore appare completamente bianco (massima quantità di luce) e ciò che viene registrato come totalmente nero. Più un pixel è grande, più fotoni raccoglierà a parità di tempo: ciò è fondamentale per assicurare il rapporto più alto possibile tra segnale e rumore.

I formati dei sensori sono numerosi, ma per dare un'idea possiamo considerare che le fotocamere compatte hanno generalmente sensori con dimensioni di una diagonale compresa tra 4 e 16 mm. I due formati più utilizzati per le reflex sono invece gli standard APS o APS-C, con una diagonale di circa 30 mm, oppure il cosiddetto full frame, che ha le dimensioni di un fotogramma di pellicola da 24 x 36 mm offrendo così una diagonale di 43 mm. Esistono anche sensori di formato ancora maggiore, destinati ad usi professionali, come ad esempio il 36 x 48 mm da 39 megapixel realizzato dalla Kodak per la Hasselblad H3D-II. Chiaramente i sensori molto grandi hanno maggiori costi di produzione e, a causa della maggiore superficie sensibile, richiedono obiettivi di maggiore diametro, peso e costo.


Si può perciò concludere che non importa disporre solo di un elevato numero di pixel, ma è anche necessario considerarne la superficie. I vantaggi di un sensore dalla risoluzione particolarmente alta possono essere apprezzati soprattutto per la stampa in formati molto grandi, o nei casi in cui si desidera ritagliare un'immagine mantenendo comunque delle dimensioni elevate. Nella pratica, un buon sensore da 6 megapixel è sufficiente per produrre una stampa in formato A4. Aggiungiamo che i file prodotti da un sensore con molti pixel hanno un peso maggiore sui dispositivi di archiviazione e richiedono computer sempre più potenti per l'elaborazione.

SENSORI CCD E CMOS

I sensori CCD (Charge Coupled Device, "dispositivo ad accoppiamento di carica") sono stati i primi ad apparire sul mercato e per molto tempo hanno offerto migliore gamma dinamica e minor rumore rispetto ai CMOS. In un sensore CCD l'amplificazione elettronica del segnale avviene per intere "righe" di pixel: da ciò deriva un'elevata uniformità di amplificazione, ma anche la necessità di riprogettare l'intero sistema nel caso si volesse realizzare un sensore con più pixel. Gli elevati costi di produzione ed il maggiore consumo energetico hanno determinato il declino della tecnologia CCD a favore dei sensori CMOS, oggi prevalenti sulle reflex. Il CCD resiste invece sui dorsi digitali per il medio formato, dove i vantaggi del CMOS sono meno significativi.

In un sensore CMOS (Complementary Metal Oxide Semiconductor) ogni pixel possiede il proprio sistema di amplificazione. Per creare un sensore con un maggior numero di pixel non è perciò necessario riprogettare l'intera amplificazione. Il CMOS, inoltre, può essere prodotto con la stessa strumentazione usata dall'industria per altri componenti elettronici. A svantaggio del CMOS c'è la minore superficie sensibile dei pixel, per la presenza di ingombranti circuiti di controllo e amplificazione su ciascuno di essi. A questo inconveniente si è posto rimedio con sofisticati software di riduzione del rumore, che hanno presto raggiunto un'elevata efficacia tanto da far preferire i sensori CMOS per molte reflex di fascia alta. Oggi i sensori CMOS offrono una migliore efficienza energetica e si sono dimostrati più adatti del CCD per le foto ad alta velocità.

I CLASSICI DELLE FOTO PARANORMALI

Il fenomeno degli "orbs", le sfere luminose che appaiono in certe fotografie, è il caso più comune di discussione sulle foto di presunti fenomeni paranormali catturati con uno scatto. Si tratta invece di effetti ottici di rifrazione e diffrazione. Essi sono causati da particelle sospese nell'aria, che possono essere granelli di polvere o umidità atmosferica, ma anche pioggia, neve o pollini. Tutte le macchine fotografiche hanno una distanza minima di messa a fuoco: gli oggetti più vicini appariranno via via più grandi e meno nitidi, in certi casi fino a scomparire del tutto. Quando il lampo del flash si accende, produce luce ultravioletta che irradia le particelle sospese. Lo stesso avviene con i raggi infrarossi usati nelle videocamere in modalità "nightshot". In un orb si possono generalmente distinguere dei cerchi concentrici, dovuti proprio a un microscopico ostacolo che si frappone alle onde luminose disperdendole intorno a sè. In altri casi gli orbs si presentano come sfere variopinte (se la particella è abbastanza lontana da essere messa parzialmente a fuoco) o come poligoni che rispecchiano la forma delle lamelle del diaframma.

   

Un'altra fonte di effetti luminosi anomali è la cosiddetta aberrazione di coma. Ciò deriva dalla forma sferica delle lenti nell'obiettivo: i raggi di luce che attraversano le zone periferiche della lente tendono a raggiungere il sensore prima dei raggi che passano dal centro. Tale effetto è particolarmente marcato quando il raggio di luce entra nell'obiettivo con direzione obliqua, deformandosi così in una scia che ricorda la chioma ("coma" in latino) di una cometa. L'aberrazione di coma è favorita dall'uso di obiettivi piccoli, di corte lunghezze focali e di diaframmi molto aperti: tutte caratteristiche che si riscontrano im moltissime macchine fotografiche compatte. Nella foto sottostante - ©Maurizio Capobussi - i puntini delle luci natalizie sono appunto dei piccoli fuochi.


Ed infine i "fasci di luce". E' mai capitato di fare una foto e non ottenere il risultato immediato sul monitor scoprendo poi foto mosse? Questi ritardi, anche impercettibili, sono una scelta della macchina fotografica "intelligente" per cercare di ottimizzare la qualità della foto modificando il tempo di apertura dell'otturatore e del diaframma (un po' come palpebra ed iride dell'occhio umano). Ovviamente più si necessita di esporre alla luce il sensore per "ottenere qualcosa", più tutto deve restare immobile fino al termine totale della cattura. Ecco un gioco fatto durante l'indagine alla Rocca di Orino: impostando sulla reflex un tempo di esposizione di almeno 10 secondi, Davide Barbarini ha avuto tutto il tempo torcia alla mano di scrivere un "ciao" nell'aria ed andarsene. Il risultato lo vedete da voi e si possono notare anche dei "resti" delle gambe di Davide nelle fasi di scrittura. Ovviamente noi abbiamo impostato un tempo elevato per consentire la scrittura dell'intera parola ed eseguire a scopo dimostrativo questo palese artefatto, ma il concetto è che anche con tempi molto più brevi possiamo avere risultati che si rifanno allo stesso principio sia per l'effetto scia che per l'effetto "arto fantasma". Quando la macchina fotografica "fa da se", non sappiamo cosa ha fatto; dunque pensare "ho fatto una foto 'normale'" non ha tecnicamente senso.


Ps: Come fanno alcuni fotografi con monumenti sovraffollati senza che qualcuno passi davanti all'obiettivo? Tempi di esposizione elevatissima e tutto ciò che si muove ed ha quindi breve durata (rispetto al tempo di esposizione), scompare.